Università di Perugia, relazione Presidente Antonio Tajani [VIDEO INTEGRALE]

L’Europa è una storia di successo quando sa incarnare un sogno di progresso, prosperità, libertà e pace. In questo la scuola e l’Università hanno un compito fondamentale da svolgere.

Università di Perugia, relazione Presidente Antonio Tajani PERUGIA – La cultura è il terreno della libertà. E la libertà è uno dei due pilastri dell’Europa. L’altro è la solidarietà, che discende dal rispetto dell’uomo come individuo e dallo spirito comunitario che anima fin dall’inizio le nostre Università, legate ai Comuni. Qui a Perugia ci troviamo alle radici della civiltà europea. Un patrimonio del quale siamo orgogliosi e che ci permette di dire, a Perugia come a Madrid, a Parigi come a Budapest, che siamo europei. E, in quanto europei, che siamo liberi e siamo aperti al mondo.

Mai come a Perugia questa libertà, questa apertura, questa cultura e questo spirito comunitario fanno parte della vita di ogni giorno. Da secoli. La vostra Università è una delle più antiche del mondo. La vostra storia appartiene a un rinascimento nel quale l’Italia ha svolto un ruolo fondamentale. Agli albori del 1300, metà delle nascenti Università europee erano in Italia.

A noi europei tutto questo sembra normale. Ragioniamo del 1300 come se fosse ieri. Come se fosse – e in un certo senso è – il presente. Fin dalla culla respiriamo la cultura di un continente dalla storia immensa, nella sua diversità come nella sua unità. Dal Mediterraneo al Mare del Nord, dal Baltico all’Atlantico. Sarebbe sbagliato fare paragoni saltando secoli di storia e ignorando gli sconvolgimenti geopolitici che hanno più volte cambiato la faccia del nostro continente..

Però è inevitabile riflettere sull’insicurezza, sull’incertezza che fu la nota dominante di gran parte del Medioevo. Quel sentimento di precarietà materiale e morale fu spezzato dalla nascita di imprese culturali quali furono le Università. Già nel nome, nel riferimento alla Universitas, le Università richiamano la comunità. Il mondo di oggi non vive quelle incertezze, eppure l’Europa si trova ugualmente in una fase di transizione, nella quale i leader e i popoli europei sono chiamati a compiere scelte.

L’alternativa è fra l’integrazione europea, il suo completamento, e una deriva di caos e disgregazione che ha già portato ad alzare muri, a rinchiuderci, a un sovranismo esclusivo e deleterio.

Il senso d’insicurezza dell’Europa medievale fu vinto anche grazie alla scolastica universitaria, alla circolazione di insegnanti dotati di licenze europee, e al confronto fra studenti di nazioni e tradizioni diverse. Come osserva un maestro della storiografia medievale, Jacques Le Goff, “in fondo al metodo scolastico vi è l’affermazione dell’individuo nella sua responsabilità intellettuale”. Questo è il cuore dell’anima europea.

Il riscatto dall’insicurezza può venire solo dalla libertà che l’individuo conquista nel pensiero e nell’espressione delle proprie potenzialità intellettuali: nello studio e nella ricerca, nel lavoro, nelle professioni, nelle arti.

Il futuro di una civiltà appartiene ai giovani e dipende dal livello di cultura e competenze che riescono a conquistare negli anni della scuola e dell’Università.

Anche la forza della nostra economia dipende dalla cultura e dall’innovazione. Dalla capacità di essere un passo avanti agli altri nella creatività che si traduce in brevetti, ricerca, trasmissione del sapere. Siamo noi europei ad avere inventato e messo in pratica, anche qui a Perugia, il metodo scolastico che consiste nel porre problemi, metterli in “questione” e attraverso una “disputa”, arrivare a una sintesi. A una conclusione.

La città di Perugia è stata fra le prime a brillare per sapienza e a dotarsi di uno Studium. Oggi, la sua Università è ancora ai primi posti e richiama studenti da tutto il mondo. È un emblema della vitalità e varietà europea, e dell’offerta di cultura di cui è capace un ateneo italiano non scollegato dal mondo.

La grandezza di una città del Medioevo – si legge nella ricostruzione storica del vostro sito universitario – non è data soltanto dall’importanza dei suoi organismi politici o da quella del suo potenziale mercantile, cui si collega naturalmente la sua forza militare, ma anche dalla sua possibilità di incidere al livello della formazione e della diffusione di un pensiero culturalmente avanzato e capace di creare una mentalità che contribuisca in maniera significativa a far progredire l’insieme della società”.

Allo stesso modo, quando parliamo di Europa non evochiamo solo il Parlamento Europeo, la Commissione, la Banca centrale e gli altri organismi comunitari. Parliamo anche di Università e ricerca, di studio e scambi culturali, di scienza e arte.

Di giovani che viaggiano, che si sentono a casa in ogni città d’Europa, che attingono all’esperienza di atenei diversi, di Università ciascuna con la propria particolarità, ma inserita in una rete europea. Un sistema finalizzato alla formazione dei giovani, quindi alla costruzione del futuro.

Tutto ciò che è cultura va nel senso dell’apertura, non della chiusura. Il voto in Olanda ha dimostrato che a dispetto della tentazione populista, la maggioranza degli europei olandesi continua a credere nell’Europa e nella dimensione comunitaria. La cultura è la prima dimostrazione di questa interdipendenza e del fatto che ciò che riusciamo a fare di buono o migliore spesso si deve al lavoro fatto insieme. A un lavoro di staffetta, di squadra. A proposito di Olanda, si può immaginare Rembrandt senza Caravaggio? Non molto tempo fa è stata organizzata una mostra ad Amsterdam di questi due grandi maestri europei della luce. I richiami tra Sud e Nord, le suggestioni che rimbalzano tra le città di Paesi diversi, anche a grande distanza o in tempi diversi, sono la nostra ricchezza e il nostro vanto.

È una semina continua. Che ha molto da insegnare anche alle istituzioni europee. Quella che ho l’onore di presiedere è la più “democratica” tra tutte, l’unica eletta direttamente dai cittadini europei.

È l’incarnazione del principio di libertà.

Ed è anche l’istituzione che dovrebbe essere più vicina agli interessi di giovani, famiglie, imprese. Questo, almeno, è lo spirito col quale affrontiamo a Strasburgo il compito di rappresentare tutta l’Europa e tutti gli europei.

In qualche modo, anche il Parlamento europeo è una “Universitas”, specchio delle diversità di un continente.

Ma se questi sono i valori dell’Università e se combaciano con quelli della civiltà europea, è ancora dentro e attraverso l’Università che l’Europa può ritrovare, in un momento di incertezza e di insidiosa minaccia populista, la propria unità di valori e la spinta a procedere verso l’integrazione.

I valori, a loro volta, vanno messi in pratica.

Le Università si rivolgono ai giovani. Sono 170 milioni gli abitanti dell’Unione sotto i 30 anni, metà dei quali sotto i 15 anni. Circa il 20 per cento, uno su cinque, è disoccupato.

In Italia, circa 4 su dieci.

Uno degli obiettivi prioritari delle istituzioni UE riguardo all’educazione è quello di facilitare percorsi di transizione dei giovani dall’Università e dagli anni di formazione al mondo del lavoro. La dotazione di competenze e abilità costituisce la protezione migliore contro la povertà, è questa la ragione per la quale educazione e formazione rimangono una priorità alta dell’Unione Europea. Tuttavia, le politiche dell’educazione sono essenzialmente appannaggio di singoli Stati e singole realtà universitarie. L’Unione Europea in questo senso rispetta le libertà e autonomie, ma svolge un ruolo a volte decisivo di supporto e coordinamento che passa attraverso investimenti nei giovani e nella formazione.

A questo scopo abbiamo fissato nel 2009 alcuni obiettivi per il 2020 che riguardano anche le competenze di base dei ragazzi e dei giovani, in vista dell’ingresso nel mercato del lavoro. Si tratta di un obiettivo ambizioso, che coinvolge 20 milioni di studenti nei 28 paesi membri dell’Unione, il 10 per cento dei quali in Italia. La disoccupazione giovanile è ridotta della metà tra gli studenti che partecipano a programmi di mobilità universitaria come Erasmus.

Il periodo trascorso all’estero fornisce a questi studenti abilità finalizzate a un’occupazione, che sono per il 70 per cento più alte rispetto alla media e in grado di aumentare del 42 per cento la probabilità di trovare un posto.

La Generazione Erasmus è cresciuta velocemente dai primi 3500 laureati nel 1987 ai circa 4 milioni di partecipanti attuali, non solo studenti ma insegnanti, volontari e atleti. A ispirare questo fenomeno incredibile è stata un’italiana, “Mamma Erasmus”, la professoressa Sofia Corradi. Attraverso la mobilità universitaria è cresciuta una nuova consapevolezza dell’essere cittadini europei. Un’altra dimostrazione di come lo scambio culturale e la formazione possano essere un traino dell’integrazione e un trampolino per la costruzione di un futuro di libertà individuali e opportunità da cogliere.

I leader populisti raccontano un’Europa diversa da quella che è. È vero che c’è oggi un eccesso di burocrazia, ci sono troppe regole. Tuttavia, abbiamo messo in campo programmi che hanno prodotto risultati importanti per studenti e ricercatori. Uno è il programma quadro Europa Creativa che ha lo scopo di rafforzare la cultura europea e la creatività anche a livello transnazionale. Dal 2014 le risorse disponibili sono state 1,46 miliardi di euro.

Con l’Evento europeo per la gioventù, settemila europei tra i 16 e i 30 anni si sono riuniti a Strasburgo per discutere del futuro dell’Europa e presentare proposte concrete alle commissioni parlamentari. Il Premio Carlo Magno della gioventù è un progetto italiano destinato a giovani tra i 16 e i 30 anni coinvolti in progetti che contribuiscono a promuovere la comprensione tra i popoli di diversi Stati europei.

Il piano Horizon 2020 destina 13 miliardi di euro in 7 anni ai ricercatori di tutte le nazionalità. Con il programma Marie-Curie stiamo sviluppano opportunità di formazione e carriera: finora ne hanno beneficiato oltre 65mila ricercatori, il 40 per cento dei quali candidati al dottorato. Questi sono solo esempi di come l’Europa concretamente cerca di venire in aiuto dei giovani e dei ricercatori, in linea coi propri valori. E in sintonia con lo spirito che anima da secoli le Università europee, luoghi di crescita e scambio culturale.

In controtendenza sembra andare purtroppo il dibattito che si è innescato dopo il voto britannico sulla Brexit. Bisogna dare atto all’ambasciatore del Regno Unito in Italia, Jill Morris (una donna), della sensibilità “europea” con la quale si è espressa sul tema delicato degli studenti e in generale dei cittadini europei che studiano e lavorano in Gran Bretagna. I dettagli li scopriremo nel corso dei negoziati che stanno per cominciare, ma intanto l’ambasciatore Morris riconosce i collegamenti importanti fra imprese italiane e Università del Regno Unito, e assicura che la Gran Bretagna vuole restare “un Paese aperto”.

Il voto sulla Brexit è stato senza dubbio un passo indietro dell’Europa, come però l’Europa ha sperimentato in altri momenti della sua storia. I passi indietro a volte si fanno per prendere la rincorsa. E il mio augurio, come presidente del Parlamento Europeo, è quello di poter rilanciare le ragioni dello stare insieme. Che è stato anche il traguardo delle prime Università europee, fondamentali per uscire dal Medioevo verso un rinascimento della cultura continentale e la formazione di una coscienza politica e civile europea.

Da allora è cambiato il mondo, ma non sono cambiate le ragioni dello stare insieme tra europei, anche nella fase di difficoltà che stiamo vivendo dall’inizio della crisi nel 2007.

Un’Europa che sia, politicamente e moralmente, un modello per tutto il mondo e una garanzia per il nostro futuro.

L’Europa non è solo un destino, il frutto di un’assenza di alternativa. È una scelta che si rinnova ogni giorno. L’Europa non è un’entità astratta o freddamente giuridica. L’Europa sono anche i giovani che viaggiano, che amano studiare, crescere culturalmente, imparare e divertirsi nella diversità delle lingue e delle culture, nella consapevolezza di parlare lo stesso linguaggio di libertà e di rispetto dell’uomo.

L’Europa sono gli studiosi che scambiano le loro scoperte, le condividono col mondo, sono gli operai, artisti, atleti, funzionari pubblici, insegnanti ai quali deve corrispondere l’appoggio di istituzioni trasparenti e vicine ai bisogni reali. Il populismo e i muri non si combattono negando o i problemi, ma riconoscendoli e trovando le soluzioni. In questi ultimi anni è purtroppo cresciuta la distanza tra cittadini e istituzioni. La disoccupazione giovanile in molte aeree resta a livelli inaccettabili. La nostra sicurezza è minacciata da terrorismo e instabilità ai confini. Vi è preoccupazione per l’aumento dei flussi migratori.

A pochi giorni dall’anniversario dei 60 anni della firma dei Trattati è giusto riflettere anche sui nostri errori, su quanto va migliorato. Ma non possiamo scoraggiarci, perdere l’orgoglio per quello che abbiamo costruito tutti insieme. Siamo l’unica area senza pena di morte. Il mondo guarda a noi quando un giornalista è imprigionato, una donna subisce violenza e vede i suoi diritti negati, un oppositore politico viene minacciato o privato della libertà. Restiamo un faro per i diritti fondamentali.

Siamo molto di più di un mercato o di una moneta. Dobbiamo lavorare per ridurre la disoccupazione, in particolare quella giovanile, e per un’Europa più competitiva e attenta all’economia reale. A fianco del Patto per la Stabilità e la Crescita, serve un Patto generazionale. Non possiamo lasciare ai voi giovani debiti ingestibili ed economie inefficienti che rendono difficile la creazione del lavoro. Dobbiamo garantire anche a voi i benefici del nostro modello di economia sociale di mercato.

L’Europa è una storia di successo quando sa incarnare un sogno di progresso, prosperità, libertà e pace. In questo la scuola e l’Università hanno un compito fondamentale da svolgere.

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