Sassate contro gli agenti in Francia, ma chi sono i Gilet gialli e cosa vogliono

Sassate contro gli agenti in Francia, ma chi sono i Gilet gialli e cosa vogliono

Hanno fatto il giro del mondo le immagini degli scontri e delle devastazioni di sabato scorso Parigi durante le manifestazioni organizzate in tutta la Francia dal movimento dei gilet gialli.

Nel video girato dalla bodycam di un poliziotto – potete vederlo nel player in alto – si vede l’intervento di gruppo di agenti vicino all’Arco di Trionfo. Dopo qualche secondo i poliziotti vengono travolti da una sassaiola.

Secondo il ministero dell’Interno francese nel corso del fine settimana sono stati dispiegati 37mila poliziotti e 30mila gendarmi. Più di 400 gli arresti effettuati.

Le immagini di Parigi in fiamme, i saccheggi, l’Arco di Trionfo preso d’assalto e avvolto dai gas lacrimogeni hanno fatto il giro del mondo. Ma sono anche ingannevoli. I gilet gialli sono un movimento diffuso, senza leader o portavoce e con esigenze molto diverse. Sia l’estrema destra che la sinistra hanno cercato di appropriarsene, o almeno di mostrare il loro sostegno.

Ecco i punti chiavi di questa ribellione inedita.

Come è nata questa protesta?

Il movimento è stato avviato in risposta all’aumento delle tasse sul carburante proposta dal governo. L’esecutivo di Edouard Philippe ha provato a giustificare la misura con la lotta al cambiamento climatico, ma il rifiuto dei cittadini a questa versione è stato netto e il malcontento è montato rapidamente.

Per molti l’aumento delle tasse sul carburante rappresenta un duro colpo all’economia familiare, soprattutto nelle zone rurali dove il trasporto pubblico è carente o inesistente.

Allo stesso tempo, una delle prime misure di Emmanuel Macron in qualità di presidente è stata l’abolizione dell’imposta sul patrimonio e di altre misure fiscali favorevoli ai grandi patrimoni.

La lunga tradizione di lotta per la giustizia sociale in Francia è stata risvegliata e sarà difficile da arginare. Molti manifestanti evocano con orgoglio il maggio del ’68 o addirittura la Rivoluzione Francese del 1789.

Cosa vogliono i gilet gialli?

Il prezzo del carburante è stato solo un detonatore, spia di un malumore diffuso alimentato da altre questioni. Va ricordato che Emmanuel Macron è stato eletto perché visto come alternativa ai partiti politici tradizionali (e per frenare l’estrema destra di Marine Le Pen). Per i gilet gialli Macron ha tradito il mandato e in molti ne chiedono le dimissioni.

Recentemente i presunti rappresentanti dei gilet gialli hanno consegnato ai media e ai politici un elenco di 42 richieste che comprendono alloggi, tasse più basse e un aumento del salario minimo. Obiettivi raggiungibili, secondo i gilet gialli, attraverso l’aumento delle imposte per le grandi imprese e la tassazione dei grandi patrimoni. Tutto con un denominatore comune: mantenere o aumentare il potere d’acquisto dei francesi e la giustizia sociale.

Tra le altre misure proposte ci sono la soppressione del Senato, l’abbassamento degli stipendi dei ministri e l’invito allo Stato di smettere di promuovere le auto elettriche e scommettere invece sullo sviluppo di veicoli a idrogeno, davvero ecologici.

Chi sono?

Si tratta di un gruppo molto eterogeneo, ma una delle basi è costituita da giovani disoccupati o precari, lavoratori che guadagnano il salario minimo e pensionati con pensioni basse. Nelle zone rurali, dove molti dipendono da veicoli privati per i viaggi, l’aumento del prezzo del carburante è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Ci sono anche militanti da sinistra, destra e centro. Secondo un recente sondaggio, precedente agli scontri del fine settimana a Parigi, il movimento era visto con favore dall’80% dei francesi: una percentuale scesa leggermente – al 72% – dopo che le immagini delle devastazioni hanno fatto il giro del mondo.

Politicamente il movimente gode di un appoggio trasverale ed è difficilmente inquadrabile. Parole di apprezzamento sono arrivate sia dall’estrema destra, rappresentata dal Front National di Marine Le Pen, che dall’estrema sinistra di Jean-Luc Melenchon.

Alcuni militanti ed esperti hanno puntato il dito contro il governo, accusato di sostenere una “strategia del caos” permettendo alla protesta di degenerare per danneggiare la sua immagine e creare divisioni.

Secondo le stime del ministero dell’Interno sabato scorso poco più di 120.000 persone hanno partecipato alle varie manifestazioni in tutta la Francia. La metà circa rispetto a sette giorni prima. Quelle del ministero sono però le uniche stime disponibili.

Uno dei problemi principali dei gilet gialli è che non hanno portavoce o rappresentanti. Chi ha provato a proporsi, è stato rifiutato dalla base. Questo è un problema anche per il governo, che non ha interlocutori legittimi con cui negoziare.

Appoggiano le violenze che abbiamo visto a Parigi?

Il movimento, oltre che ai gilet fluorescenti, è associato soprattutto ai disordini e alle violenze viste a Parigi nell’ultimi fine settimana. Tuttavia i gilet gialli hanno organizzato manifestazioni in tutta la Francia, bloccando caselli autostradali (permettendo così agli autisti di non pagare il pedaggio), rotatorie e stazioni di servizio, quasi sempre in un’atmosfera amichevole e festosa.

Molti gilet gialli rifiutano quello che è successo a Parigi. Altri lo capiscono anche se non lo condividono, altri dicono che “non c’è rivoluzione senza violenza”.

Tra le 412 persone arrestate sabato a Parigi c’è un po’ di tutto. Ci sono “radicali professionisti”, come ha detto il ministro degli Interni Christophe Castaner, i sinistrorsi, la destra e i giovani che cercano solo il caos per saccheggiare e rubare. La maggior parte dei responsabili degli scontri di Parigi sono militanti di estrema sinistra e dell’ultradestra.

Va però segnalato anche un altro fenomeno diffuso: tra gli arrestati ci sono anche molte persone “normali”, senza precedenti penali, trascinate dall’atmosfera e dall’euforia che hanno regnato sabato nella capitale francese.

Il procuratore di Parigi Remy Heitz li ha descritti come “vandali occasionali”, uomini tra i 30 e i 40 anni, non impegnati politicamente o comunque lontani dai movimenti estremisti.


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